lunedì 13 dicembre 2021

Il linguaggio ammalato, capitolo 1: vaccinazione e immunizzazione



Il Covid non ci ha solo fatto ammalare, avvelenandoci la vita, e distruggendo tante aspettative. Deve avere anche avuto il potere quasi magico, di contaminare il linguaggio comune: lo ha ammaliato ed infine...ammalato.

Si dice che un popolo sia tale condividendo, prima che una storia comune e molto prima che una cultura, la lingua.

Ecco che disintegrare i fondamenti della lingua, formando e riformando le parole tanto che nel parlarsi e nel comunicare le persone si sentano confuse e spesso frustrate dalle incomprensioni, si favorisce il conflitto e la distruzione dei legami sociali e al contempo si ottenebra l'attenzione sulle politiche in atto.

Sarà stato davvero il Covid? Oppure qualche strategia di marketing propagandistica ha usato questa succulenta occasione per fomentare uno stress sociale tale da distrarci completamente?

Stanca di sopportare ignobili sovrapposizioni, imprecisioni, errori lessicali e gravi inganni logici nascosti dietro a parole di uso comune, improvvisamente disconosciute, mi diverto a fare un elenco delle assurdità cui assistiamo tutti i santissimi giorni a partire proprio dai massmedia. 

Capitolo 1: Immunizzazione e vaccinazione

Parto con la "svista" più abusata, diffusa senza alcuna vergogna che sgretola il significato di parole invece strettamente significative nel contesto del loro utilizzo corretto.

Vaccinazione: è una tecnica (o un prodotto) farmacologica che introduce sostanze nel corpo, allo scopo di indurre forzosamente una risposta immunitaria verso un agente potenzialmente patogeno.

Immunizazzione: è la condizione tale per cui un corpo è in grado di rispondere in maniera veloce ed efficacie ad un contaminazione di natura patogena senza subirne danni definiti “patologia”. Tale definizione è utilizzata per spiegare una copertura immunitaria duratura, solida, e altamente efficiente. In particolare è da riferirsi ad una risposta immunitaria che non da manifestazione di sintomi significativi.

Le due parole NON SONO ASSOLUTAMENTE sinonimi. La vaccinazione non comporta l'immunizzazione, ma solo il tentativo di indurla, tentativo che in una casistica rilevante fallisce e che raramente è da considerarsi duratura nel tempo, sopratutto nel caso di virus rNa.

Travisarne il significato e scambiare il mezzo (vaccinazione) con il fine ambito (immunizzazione), nel linguaggio mediatico è una tecnica di propaganda che aiuta a percepire i vaccini come certa fonte di immunità. Un falso logico e farmacologico.

Si tratta del gioco delle tre carte: presto, il prestigiatore, vi avrà ingannato. 


Cito il Corriere.it: Covid, Di Salvo: «Molti genitori sono immunizzati. Ma dicono no per i loro figli»

che in data 12 dicembre 2021 ancora non esita a titolare in maniera drammaticamente impropria.

I genitori di cui si parla qui non si possono in nessuna maniera definire a prescindere immunizzati salvo test specifici. Eppure vengono definiti SPUDORATAMENTE tali.

Questo gioco serve a fomentare l'idea in tanti distratti che vaccinarsi corrisponda ad immunizzarsi (affermazione altamente falsa data la variabilità FISIOLOGICA dei risultati) ed anche che i genitori in questione sarebbero contrari all’immunizzazione dei figli, ovvero a proteggerli, mentre è ovvio e chiaro come siano contrari al vaccinarli con prodotti di dubbia efficacia e sopratutto dubbia sicurezza.

In uno stato di diritto normale questi reiterati tentativi di propaganda e marketing occulto verrebbero sanzionati ed anche indagati come reati penali contro la persona. 

La cosa più grave, davvero, è come la nozione di questa differenza sostanziale tra vaccinazione e immunizzazione, per nulla sottile, sia teoricamente ormai patrimonio di tutti e il falso dunque  evidente. Eppure, ancora in pochi vedono. 


Allego elenco (assolutamente a caso) di altri media che tuonano alla stessa maniera.

Al via il richiamo per gli immunizzati per il COVID 19 con

Vaccini Lombardia: 8 milioni di lombardi sono stati ... - Il Giorno

Vaccini: In Italia 45 milioni di immunizzati, terze dosi a quota 5 ...

 

 

 

 


sabato 27 novembre 2021

Persecuzione politica



 

Adesso le carte sono del tutto scoperte.

Dopo le dichiarazioni del Supremo Draghi secondo cui, chi non si vaccina per diktat di questo governo non è più parte della società, perdendo dunque diritti di cittadinanza, sociali e civili, seconda una logica che solo le peggiori dittature mediorientali hanno saputo esprimere negli ultimi secoli, si tracciano le linee di ciò cui stiamo davvero assistendo.

L'Europa disse chiaramente che non si poteva agire discriminando chi non avesse aderito alle campagne vaccinali eppure, in Italia lo si sta facendo in maniera reiterata con forme di persecuzione vere e proprie, e peggio, alimentando l'odio dei cittadini verso altri cittadini.

Questo modo di procedere è assolutamente voluto e pianificato. 

Cerchiamo di capirci. Qui non si tratta di Di Maio e compagnia cantante, utili solo come fiori di addobbo al ricco banchetto di chi si sta mangiando l'Italia. Qui stiamo parlando di Draghi, il rottamatore, l'uomo che in Europa è preposto a portare la volontà delle banche dentro ai singoli governi sovrani che sfuggono all'utilità della Banca Centrale.

Fa ridere pensare che c'è ancora chi crede nelle favole per cui i governanti, "poverini" commettono degli errori (ops!) e non sarebbero consapevoli di quali devastanti conseguenze comportano certe azioni politiche da un punto di vista sociale ed economico.

Facciamo un esempio. Quando scatenarono il panico per la pandemia nel marzo 2020, non pensarono, "poverini", a fare scorte di presidi sanitari quali mascherine e guanti per gli operatori sanitari. Lasciarono che la popolazione assetata di plastiche in cui incelofanarsi ne facesse mambassa per i secoli a venire, così che per settimane ce ne fu carenza e mancanza negli ospedali e nelle RSA. Ma chi diavolo può ancora credere che fu un caso? Come diavolo è possibile non prevedere e impedire un simile ovvio effetto?

Il diritto a non subire trattamenti sanitari per volontà di un qualsiasi governo, nasce proprio dal fatto che nella storia, in moltissime occasioni, si usò la paura di "epidemie" varie, per dominare le persone e portarle alla deriva sociale. I farmaci poi, sono strumenti potenziali di condizionamento sociale, dunque senza il consenso informato, nella società civile, non si può agire sul corpo dei cittadini.

Questi predatori al governo lo sanno perfettamente. Sanno perfettamente che tutta la crisi pandemica è portata avanti dal continuo ed esaperante conteggio di tamponi positivi (chiamati contagi). 

Ci hanno fatto intendere che questi tamponi sono fondamentali e perfettamente attendibili. Li hanno imposti ai soli refrattari al fascino del vaccino, per mesi, negando il fatto scientifico e politico per cui anche i vaccinati sono potenzialmente portatori di contagi 

cit. 

Finally, although we did not perform viral culture here—which is a better proxy for infectiousness than RT-PCR—two other studies  have shown cultivable virus from around two-thirds of vaccinated individuals infected with the delta variant, consistent with our conclusions that vaccinated individuals still have the potential to infect others, particularly early after infection when viral loads are high and most transmission is thought to occur.

e che eventualmente, dunque, andremmo tamponati tutti.

Ora, con il "super greenpass", invece che indagare tutti con un tampone che in tempo reale isolerebbe una potenziale fonte di contagio, si nega addirittura la validità di questi, escludendoli dalle pratiche per ottenere il privilegio di esercitare i propri diritti, come cittadini, sul nostro territorio nazionale. 

Un paradosso evidentissimo cui, come sotto incanto, evidentemente provati da troppo stress, i cittadini non reagiscono in maniera significativa e sensata.

Tutta questa messainscena di fatto reclude e reprime una grossa fetta di cittadini, mettendone a dura prova la sopportazione, al solo scopo di piegarli ad accettare gli esercizi di governo come aventi poteri divini, inconfutabili, non criticabili e che se non accolti, scatenano punizioni sociali sulla base del modello cinese: una PERSECUZIONE POLITICA verso i dissidenti.

Le idee politiche contrarie a dogmi e leggi di governo (si tratta di politica, quando il corpo è usato come pedina nei giochi della polis!) per le quali un cittadino rivendica le proprie libertà democratiche da imposizioni di governo, non sono tollerate. 

La repressione non è tanto contro l'affermare a gran voce che vaccinarsi deve restare una scelta personale di tipo medico-sanitario e non uno strumento nelle mani del volere del governo, ma soprattuto verso l'osare rivendicare così, che esistono limiti oltre i quali i governi non devono e non possono spingersi, mai.

Purtroppo, dopo l'impoverimento culturale subito negli ultimi 30 anni, il temperamento recalcitrante dell'italiano medio non basta a sapersi difendere da questi abusi, vige una larga incapacità di riconoscerli e di proiettarne nell'immediato futuro gli effetti.

Avremo sempre meno resistenza alle violazioni etiche e politiche che questi uomini di altri continueranno ad attuare. Questi uomini e donne sono funzionali al dominio delle risorse finanziare, economiche e politiche del nostro paese e non si fermeranno di fronte a ingiustizie di nessun tipo.

Oppure dobbiamo credere come questo sia un governo più che dei migliori, di poveri incapaci, che per incompetenza mette in atto cose assurde come violare la costituzione, le indicazioni dell'Europa, portando alla guerra civile, solo per stupida ingenuità? Il governo dei poverini?

A questa evenienza non crede più nessuno, proprio per la miriade di "errori" compiuti in questi due anni (di cui prima o poì farò un bell'elenco), la cui casualità è davvero impossibile da bersi, senza essere sotto gli effetti di una pesante sbronza.


NB: come prassi cerco di corredare le mie riflessioni di articoli mainstream, ma da fonte attendibile: li trovate seguendo i link.

Vi invito a leggerli.

 

lunedì 15 novembre 2021

"Persecuzioni minori" di Eva Melodia


Anna Göldi, ultima donna giustiziata per Stregoneria

Quando viene citata la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, come parallelismo rispetto all’obbligo del green pass e relative politiche repressive, si incappa quasi sempre nello sdegno di chi la ritiene una esagerazione


Del nazismo in effetti, si ricordano quasi solo fatti storici eclatanti e massivi quali deportazioni, detenzioni, torture e uccisioni, dimenticando come questi fattori, che composero il più complesso fenomeno storico conosciuto come Shoah, furono possibili solo a partire da un semplice fatto politico, ovvero la delegittimazione dei diritti civili degli ebrei.


L’analisi su questo parallelismo viene frainteso e negato perché ci si ferma alla valutazione degli accadimenti storici, i quali, ovviamente non corrispondono.


Sul piano storico si mise in atto uno schema sequenziale preciso.

Iniziò con la discriminazione razziale, spaccando la popolazione che venne obbligata a scegliere da che parte stare. 

Proseguì con le deportazioni ma, per attingere a piene mani alle ricchezze della comunità ebraica e depredare totalmente le famiglie ebraiche dei loro averi, facendone ricchezza per la “Grande Germania”, bisognava spingersi ben oltre.
Si arrivò alla reclusione nei campi di concentramento, dove la morte dell’umana etica si consolidò nello sfruttamento e tortura, come nel modello animale.

Infine raggiunse il suo compimento con l’estinzione del corpo politico ebraico, attraverso lo sterminio: se gli ebrei fossero mai usciti vivi in massa da quegli inferni, se avessero mai potuto ricostituire loro stessi e i loro legami, proprio a partire dal dolore provato, avrebbero probabilmente distrutto la Germania con ogni mezzo possibile.

Dunque i famosi gerarchi nazisti portarono a compimento l’unico progetto che solo interamente realizzato poteva essere davvero utile alle miserabili ambizioni germaniche: li sfruttarono come animali, liberandosi dei loro corpi solo dopo averne esaurito completamente l’utilizzo.

Il popolo tedesco si spinse così oltre la bassezza umana e verso l’abominio, per volere di pochi e con il silenzio di moltissimi. 


Considerando questi quattro fattori, come fossero uno solo, come se solo insieme rappresentassero la persecuzione degli ebrei e come se la Shoha fosse solo un fatto storico, allora certo, stiamo paragonando un cesto di mele ad una sola mela. 

La mela appartiene al cesto di mele e la relazione è forte, ma resta comunque un concetto che in molti non riescono ad elaborare correttamente. 


In realtà, l’unico motivo rilevante  per cui il parallelismo non è effettivamente calzante, è di natura politica. 

Sappiamo che le persecuzioni nascono solo per ragioni politiche volte all’annientamento di un avversario o allo sfruttamento e/o consumodi un soggetto appetibile

Abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a persecuzioni di ogni genere e tipo osservando l’evoluzione del pensiero discriminatorio che ogni giorno sviluppa nuove forme di “arte dell’oppressione”, vicine e prossime alle più evolute forme di sadismo.

La presunta appartenenza di un individuo ad una genesi di natura sub-umana è solo la più famosa. E’ il caso degli ebrei, tanto quando delle donne nelle culture patriarcali.


Una persecuzione come quella degli ebrei sfruttava il paradigma specista della bestializzazione biologica (umani contro bestie) degli individui. Venne diffusa e argomentata la deumanizzazione ottenendo così la delegittimazione dei cittadini di origine ebraica, come non fossero più persone aventi diritti fondamentali.

Nati ebrei, in quanto “di sangue ebreo”, gli individui così categorizzati non avevano possibilità di fuggire al loro destino e alla condanna mossa da cotanto ragionamento razziale. Non poteva esistere perdono o redenzione, attribuendo alla genetica stessa le ragioni della declassificazione.


Quando è iniziata la persecuzione dei cosiddetti no-greenpass quindi, l’intenzione di chiamare in causa quella che, tra le persecuzioni moderne, ha ancora più presa nella coscienza collettiva per attirare l’attenzione sul problema, era strategicamente pericolosa perché similitudine impropria nei suoi punti di intersezione, piuttosto incomprensibile sul piano politico.

La caccia alle streghe invece, cadeva a pennello. Non come stupido modo di dire, ma precisamente, come modello oppressivo e persecutorio, essendo un parallelismo più calzante, se proprio ne servisse uno. 


Rinnegate per le loro idee, per la ribellione ai dogmi della classe dominante, per la ricerca di una vitalità nella Natura, per l’utilizzo libero, autodeterminato e spregiudicato dei loro corpi, o semplicemente perché dotte in fitoterapia, vennero braccate quali nemiche del pensiero unico del loro tempo. 

Discriminate, poi scacciate ed infine uccise, pagarono non per il più classico “declassamento biologico”, ma per la loro libertà di pensiero (declassandone il pensiero), esattamente come i tanti ribelli al sistema sanitario monotematico moderno che possiamo tranquillamente chiamare “vaccino-antibiotico-cortisonico-dipendente”.


Quando in questi giorni mi è capitato di definire pubblicamente questa corrispondenza come migliore e più calzante, diverse persone, si sono mostrate sollevate. 


Sto parlando di persone che normalmente non riconoscono alcuna persecuzione verso chi sta pagando con stress, umiliazioni e penalità di ogni sorta, per non aver aderito al grande esperimento di massa che è la vaccinazione contro il COVID. 

Perchè? Come mai costoro diventano più comprensivi se, invece che tirare in ballo la Shoha, si evocano le povere streghe? 


La mia risposta è semplice: grazie all’incoscienza politica delle persone comuni a cui è stato lasciato un barlume di competenza storica, così che credano di sapere, ma tolta ogni competenza politica

Un sistema formativo scolastico defaticante il pensiero, fondato per lo più su nozioni storiche impartite senza alcun investimento nel formare l’essere politico, impedisce una comprensione significativa degli accadimenti del proprio tempo. 

Impedisce, in particolare, di porsi domande fondamentali su cosa sia una persecuzione, come si verifichi e se per caso non si abbia aderito ad una classe che sta agendo come oppressore e persecutore.


Le streghe e la loro storia (ma soprattutto la loro persecuzione politica), per quanto spesso presenti nella fantasia mainstream, non hanno alcun peso nella cultura moderna: la loro esistenza è solo fantastica, la loro storia desueta, la loro tragedia ritenuta decisamente minore.


Come se non fossero davvero morte quasi centomila persone, quasi tutte donne, ammazzate e torturate nei peggiori dei modi. Come se non fosse solo del 1782 l’ultima esecuzione. 


E così abbiamo che alla persecuzione degli ebrei “no, non si può” associare questo iniziale stato di tormento sociale in cui vivono i ribelli no-greenpass, ma alle streghe “sì, vabbè, se proprio volete parlare di persecuzione…”.


La concezione sminuita della persecuzione delle streghe, dipende da due fenomeni.

Il primo è una tendenza a classificare le persecuzioni sulla base del numero di morti invece che, eventualmente, sulla base delle ragioni politiche mostruose che le hanno generate.

Il secondo invece, è quel comune concepire il tormento delle (così chiamate) streghe come dovuto, almeno in parte, a una loro libera scelta. In fondo, bastava allinearsi. Una scelta l’avevano. 

Gli ebrei, nascendo tali, non potevano sfuggire alla condanna dei gerarchi nazisti, mentre quelle donne (e qualche uomo) erano "solo" delle ribelli. Avrebbero ben potuto “fare meno casino” e soprattutto, non andare in giro a parlar di medicamenti e pozioni in antitesi alla santa scienza che stava nascendo.


Sminuite nel loro sapere, nel loro essere donne, nelle loro scelte di vita, sono cadute nel dimenticatoio come tanti altri perseguitati di cui la coscienza collettiva non ha memoria: persecuzioni minori. 

Le prime scuse ufficiali da parte della Chiesa, risalgono al 2020 e senza grandi clamori.


Questa costante disattenzione per i fenomeni di persecuzione (l’immoralità umana per definizione) ostacola l’evoluzione etica di tutta l’umanità.


Le persecuzioni sono talmente presenti nelle abitudini comuni, che senza rendersene conto, i perseguitati rincorrono più che la libertà, lo status di persecutori di qualcun altro.


Gli animali da allevamento non vengono riconosciuti come perseguitati, eppure lo sono.

Stessa sorte, sebbene con un po’ di spinta al cambiamento, tocca agli omosessuali o agli stranieri “altro-da-comunitari”.


Solo nel secolo scorso e solo in GB, circa 49.000 omosessuali vennero perseguitati dallo stato e condannati a pene di varia natura, tra cui il carcere e la castrazione chimica. 

Tra questi c’era il geniale Alan Turing a cui dobbiamo non solo la realizzazione del primo computer, ma anche in gran parte la vittoria degli Alleati nella seconda guerra mondiale. 

Eppure, ancora oggi, si stenta a riconoscere la persecuzione delle persone lgbtqi+ rifiutando di definirla come tale ed ancora in corso. La solita persecuzione minore ed infatti, nonostante la loro eliminazione sistematica nell’olocausto, hanno un ruolo marginale nella memoria collettiva verso le vittime.


Perseguitare qualcuno significa togliergli vitalità, possibilità, energia, spazio, sorrisi, indipendenza, amore, solidarietà. Significa escluderlo dal “noi”, ricacciandolo nello schema del “loro”, negandogli diritti e creandovi attorno una gabbia grazie al potere acquisito come persecutori di maggioranza. Solo in taluni contesti ciò implica anche l'annientamento dei corpi, ma sempre di persecuzioni si tratta, anche in assenza deportazioni e torture. 


Quella verso i cittadini ribelli al green pass è una persecuzione, politicamente molto simile a quella delle streghe, storicamente troppo simile a tutte le altre: una scusa per dominare, nella scacchiera della grande politica. 

E’ considerata minore da chi è ancora almeno in grado di riconoscere una persecuzione, ma peggio, è negata del tutto, da chi non sa più far altro che scegliere il canale tv da impostare la sera.




sabato 13 novembre 2021

"Il patto sociale è in crisi" di Eva Melodia

                    


Una nazione, come un matrimonio, si fonda su un accordo chiamato patto sociale.

Esso non determina doveri e diritti come in tanti pensano, ma le fondamenta del rispetto reciproco, necessario per convivere pacificamente.

Nella storia dell'Italia moderna, il patto sociale è in parte messo per iscritto nella Costituzione Italiana, che i cittadini infatti amano, perché in essa vedono valori inalienabili e la garanzia di una protezione dai sopprusi, da parte di chiunque.

Quel patto sociale, oggi, più che mai, è in crisi.

Senza chiamare in causa i complotti, ma limitandosi ad osservare la realtà, lo Stato (ovvero l'entità preposta a concretizzare quotidianamente il governo degli interessi del popolo rispettandone il patto sociale), ha generato e continua a generare le basi perché il vivere di comune accordo sia sempre più insostenibile.

Questo governo promuove conflitti profondi tra i cittadini e i loro interessi, negando agli uni diritti necessari all'equilibrio del rispetto e spaventando gli altri con propaganda e politiche che generano il terrore e di conseguenza l'aggressività. 

Tutto ciò occulta come, in pochi mesi, si sia stati ridotti alla mera sopravvivenza. 

Tutti (o quasi), abbiamo redditi che rispetto al costo della vita sono diventati miserabili (anche nel caso delle classi medie) grazie al peso della tassazione (spropositato, iniquo, folle) e al costo dei beni primari: resta a malapena il minimo per tirare al mese dopo e continuare a fare il giro della giostrina... come criceti in gabbia.

Ci dicono che l'evasione fiscale è di circa 110 miliardi di euro ogni anno. In questa rientrano i grandi e cronici evasori, ma anche tantissimi piccoli imprenditori che senza l'evasione non potrebbero sostenere IL COSTO del loro stesso lavoro. In tutto questo meraviglioso panorama, i servizi sono sempre meno garantiti, gli sprechi sotto gli occhi di tutti e lo stato un erogatore di briciole assenzialiste. E non abbiamo ancora visto gli impatti devastanti che avrà nel medio periodo la politica dei lockdown, essendo ancora in vigore il blocco dei licenziamenti.

Facendo un semplice ragionamento, è evidente come uno o più cittadini che si accordassero su regole comuni e condivisione della vita, non farebbero un patto sul come flagellarsi a vicenda, stressandosi reciprocamente e mettendosi a turno in condizioni di difficoltà e pressione insostenibile.

Per tale ragione il patto sociale sta per estinguersi e con esso, qui lo dico e confermo, la stabilità dell'ordine sociale. Per quanto ci abbiano resi un popolo sempre più assente e mite, grazie allo stordimento dell'entertainment: quando la pancia chiama, è la rabbia a rispondere.

Mentre ci illudiamo di avere un solo problema di tipo medico, chiamato Covid (quando forse invece abbiamo un piccolo problema di natura sanitaria chiamato malasanità e malgoverno), problemi giganteschi ci stanno correndo incontro e la crisi sociale che verrà in Italia è uno dei più probabili.

Il mondo intero sta cambiando sotto i nostri nasi senza che si abbia il tempo materiale di percepirlo. 

La pressione al cambiamento di un sistema che qualcuno si illude di governare è sempre più incessante e non sarà un bell'investimento. 

Rischiamo di vedere a breve come lo stress sociale generi mostri già visti nella storia dell'umanità ed anche come la fantascienza abbia solo sfiorato l'incubo in cui stiamo per svegliarci.

Eppure, si sa...gli avvertimenti non sono mai serviti a nulla, sopratutto quando la realtà percepita è una colossale illusione collettiva.


 

"Vapore" - Poesia di Eva Melodia

 

E' un periodo difficile e molto denso, eppure ricco di ispirazione 🙂

"VAPORE"


Trovai luce nella polvere
l'eco mi ascoltò 
nostro un solo racconto
Intrecciando stelle nella Torre 

 
Profilo rivolto alla tua libertà
il vuoto lo hai solcato
Sovvertite le leggi del pianto
il fegato l'ho bevuto 

Sospiri di vapore si fecero vento
solstizio restai
quando
nell'inverno vedevo dipinto
il suono della mia follia 

Lento incalzare
dolevano le gambe
franati del mondo i confini 
lasciai andare il cappio
nella cenere mi salvai 

Scrissi libri con le piaghe 
acque morte carta bianca
sposa liquida sposa stanca
Indossai l'oro di fedi opache 

Dalle certezze la tua voce mi assaliva
che tu mi avessi amato restava 
consumato lo stelo 
alla mano la spina 

Cervello drogato
tanto ti ho atteso 
ora il fiume divampa al vero:
ci sei sempre stato.


 

venerdì 1 ottobre 2021

"Fermarsi e ripartire" di Eva Melodia




Ieri ho aperto il bagagliaio. Tutti i miei trucchi, maschara, rossetti, ombretti, erano sparpagliati sul fondo, tra le catene per la neve, il parasole e i vetri rotti.
Ho pensato che il mio mondo interiore più frivolo e vanitoso era ancora lì, dovevo "solo" rimettere tutto a posto nella bustina che avevo chiuso male e che durante l'incidente è praticamente esplosa, lanciando pezzi da tutte le parti. Ho cercato di restare sulle cose pratiche, di non farmi prendere dai drammi, perchè non posso proprii permettermelo.
Sono incredibilmente uscita illesa da questo incidente. Tutta una serie pazzesca di fattori hanno impedito che io mi facessi davvero male. Sono uscita dall'abitacolo da sola, senza alcun osso rotto o ferita e non sono state coinvolte altre persone.
Quando mi sono trovata con i piedi per terra, i soccorritori, non uno escluso, mi rassicuravano e mi incoraggiavano: "ti è andata bene!", "sei stata fortunata!"... guardavano il contesto e lo pensavano davvero. L'auto si è fermata in piena carreggiata in un momento di grande traffico e nessuno mi è venuto addosso.
Quante volte si parla del valore della vita, della preziosità di un singolo istante, ma quante volte ti sembra di crederci e invece NON lo senti davvero, perché la vita ti è diventata pesante e lo sai solo tu quanto. Lo sai solo tu, che fai fatica, davvero, a farti carico di tutto ciò che ti viene chiesto.
E allora arrivi lì, alla TUA curva, dietro cui non vedi per tempo un pericolo mortale, perdi il controllo dell'auto e hai tutti quei lunghissimi istanti per capire che è finita...
Sai solo che non sei pronto. Vicino a te SENTI l'assenza di chi ami e che si allontana ancora di più, sai di non avere lasciato le cose a posto, "non eri" a posto e non stavi bene, quindi la vita che lasci è in sospeso, piena di rimpianti e qualche rimorso.
Ho pensato che non volevo morire, che non ero pronta e ho fatto quelle due o tre cose per favorire le mie probabilità di salvarmi. Mi sono irrigidita, stretta al volante resistendo agli urti e appena la macchina si è posata sul fianco, ho usato tutta la lucidità che avevo per scappare dall'abitacolo e non farmi investire.
Ora ho paura. Rivivo continuamente quell'istante e non riesco ad invitare nessuno a brindare con me di quanto sia stata fortunata e protetta da chissà quale forza/parente ormai nell'aldilà/religione.
Credo di essere in stato post-traumatico che arricchisce come stavo prima, già in difficoltà personale, di una nota accessa di depressione.
Con questo dunque mi sento di condividere con voi (tanti amici e amiche di lunga data, ma non solo) alcune riflessioni:
- La vita davvero è un attimo. Quando lo capiamo è SEMPRE troppo tardi. Lo stesso, non necessarimente riusciamo a vivere secondo gli spot del mulino bianco, per tante ragioni intime e fisiologiche e che nessuno dovrebbe giudicare. Dare valore a noi stessi e alle persone che amiamo, resta la lotta più importante e significativa, nel tempo concesso anche se non è per nulla facile.
- la depressione è una malattia. le forme lievi non vengono mai riconosciute, ma quasi sempre sottovalutate anche da chi le vive. Sentirsi in colpa, peggiora le cose. Se vi salvate da un incidente davvero brutto e non fate i salti di gioia, probabilmente state andando verso la depressione.
- NON immettetevi in autostrada quando PIOVE FORTE, e anzi, se proprio dovete, abbiate cura di andare davvero piano. Questo incidente è avvenuto non per colpa mia, ma per la presenza di un LAGO d'acqua presente in un avvallamento del manto stradale, dietro ad una curva. Non ho potuto fare niente se non aspettare che la macchina si fermasse dopo averne perso completamente il controllo.
E questo non dovrebbe succedere. Con quello che paghiamo di autostrade, non esiste che una persona entri in autostrada e si ammazzi per una cosa del genere.
Quindi per favore, denunciamo ogni rischio e troviamo il modo di responsabilizzare i gestori delle autostrade, che invece di rifare solo e continuamente la segnaletica, dovrebbero gestire il rischi reali come questo.
Allego nota che mi ha fatto sorridere: in macchina avevo due bottiglie di Nebbiolo. Non si sono rotte, se sono certa perchè le ho viste e altrimenti la macchina avrebbe avuto l'odore assurdo di una bettola degli anni 50.
Quando ho ritrovato la macchina dal carroattrezzi non mancava niente, tranne le due bottiglie di Nebbiolo: Salute a chi se le sta godendo!

giovedì 15 aprile 2021

"Libero Stato di Paura" di Eva Melodia

In Libero Stato di Paura non si sta poi così male. A primavera si entra in cella dalla porta e non, come in autunno, passando tra le sbarre, che sono così strette che può succedere di rompersi una clavicola.

Si riesce ad avere due o tre metri quadri a testa, ossigeno a sufficienza, e per sedersi sulle brandine fai turni di venti minuti. Quindi, ogni due ore, ti ritagli il tuo spazio, e puoi anche appoggiare la schiena al muro.

Per legge, da qualche anno, puoi portarti un cuscino, perché l’azienda che li forniva è fallita. Ti agevolano così.

Quando viene il momento di partire, io sono sempre tra le prime ad essere pronta. Preparo con cura ciò che può servirmi nei mesi di permanenza, poiché possono diventare anni e voglio avere tutto in ordine. Mi porto fogli per scrivere e matite per dipingere, perché ho notato che in cella le parole diventano fluide e i disegni oleosi. Tutto è più facile.

Pian piano che i mesi passano, arrivano le persone nuove, sempre diverse.

Fai amicizia, ma l’ossigeno diminuisce e devi trattenere un po’ il fiato. Poche parole, tanti sorrisi di complicità.

Dicevo che le porte non si aprono che verso l’interno, in inverno, quando siamo così tanti da dover stare stretti al vicino e respirare contando fino a sette. Un perdonabile errore di progettazione, certo, ma anche mangiare la frutta diventa complicato se per alzare un gomito devi chiedere “Permesso!” con la voce di testa. Per fortuna la frutta profuma talmente, da colorarti le guance.

Ogni tanto qualcuno vola via. Si svuota il soffitto rivelando le stelle, e attaccato al laccio di un palloncino trasparente, vedi il corpo sparire nel buio, verso il manto dorato della luna. Gambe e braccia e testa diventano un puntino in lontananza e tu sai che starà di certo guardando i pesci dentro al palloncino.

Succede sempre di notte, ogni notte, dopo notte.



DISEGNO di Lospazioideale

Gentilmente realizzato sulle parole. (Grazie Alessandra Nemour, hai una mano meravigliosa)

giovedì 8 aprile 2021

"Big Johnny" di Eva Melodia


Big Johnny è un mio amico immaginario.

Guardava fuori dalla finestra quando veniva il mattino. Lasciava le persiane aperte perché il cielo entrasse nella sua stanza, per vederne e sentirne il buongiorno se anche, carico di nuvole o di tempesta, qualche volta appariva minaccioso.
La madre lo svegliava con profumo del caffè tostato. Lui non resisteva e correva giù in cucina a mangiare biscotti, altrimenti avrebbe dormito fino a tardi cullandosi nei sogni. Sognare, in fondo, era l’apice della felicità a lui concessa, l’unico modo che aveva di immergersi in quel giovane stupore che chiamava amore.
La madre lavorava di inganni e profezie. Una fila di piagnistei e speranze, di volti affranti e fazzoletti in testa, si accalcava fuori dalla porta tutti i giorni, mentre la zia offriva l’acqua e raccoglieva le offerte prima che se ne andassero, soddisfatti e più sereni.
Appena fatta la colazione, fuggiva. Eludeva i loro sguardi e le loro domande, invasori della casa e della sua anima e tornava solo al momento della quiete ritrovata, nel limbo di penombra senza vociare e senza la zia, quando apparivano i profumi del pranzo e i soldi erano ben contati sulla madia. Poteva prendere duemila lire una volta a settimana. 
Chiamava giardino uno straccetto di terra frequentato solo da cani e dal loro bisogno di evacuare. Portava lì il suo pastore, amico e confidente, per godere della sua stessa gioia di annusare l’essenza della terra. Poteva vedere attraverso i suoi occhi gli insetti, tra un buchino e un filo d’erba e osservare il piacere di scondinzolare ad un’altra cagnetta, sempre la stessa: Kira, la dalmata, dal saltellare aristocratico. 
Con lei, ogni pomeriggio, giungeva allegra una bambina del primo piano. Si chiamava Anna e quando questa gli rivolgeva la parola, lui rispondeva con voce mesta, titubante, per il timore di spaventare. 
Non parlava mai per primo. L’asfalto sotto i piedi era l’unica cosa che calpestava senza chiedersi quanto ne avrebbe patito.
A nulla valeva che tutti dicessero, o sapessero, quanto era bravo a scrivere del mondo e di poesie. Non osava disturbare, tanto meno i bambini, proteggendo la loro quiete.
Questo era Big Johnny, che voltava ogni giorno le spalle al giardino e si impressionava del maestoso castello. Credeva e diceva, che mai nessuno e in nessun luogo, poteva vantare lo stesso portento di architettura e dominio, eppure non era mai andato da nessun’altra parte.
Poi, pesante, tornava a casa passando sotto i portici di via Rovello.
“Madre, cosa fanno lì sotto quelle signore?”. Il rosso fiamma dei loro capelli gli confondeva le idee e quando passava loro in mezzo, avrebbe voluto essere polvere per soffiarsi via, sparire tra le colonne della galleria e non udire i loro aciduli commenti. “È strano”, “è lento”, “è rallentato” e a nulla serviva saper d’essere stato il primo della classe in disegno e matematica.
“Attendono che aprano i negozi”.
Ogni giorno attendevano.
Ogni giorno lui usciva cercando l’aria e l’indipendenza nel giretto attorno all’isolato, crescendo in un corpo sontuoso, diventando talmente possente da esser l’ombra che oscura il sole se ti guardava dall’alto. 
Di rosso qualcosa aveva sempre, anche lui. Un laccio, meglio di niente, a ricordo del padre partigiano e anziano, morto prima che lui ne avesse memoria. I tanti racconti dell’uomo buono che era stato e dell’amore per quel figlio inaspettato servivano a poco, giacché la mente fatica ad immaginare una carezza mai sentita.
Quelle donne erano sempre lì, dalle cinque in poi, ad attendere. I negozi non aprivano mai, ma non c’era noia nei loro sguardi. Le chiacchiere erano sottili, vocii, risatine, grandi sorrisi quando una entrava in un’auto e andava via.
Non capiva e non osava chiedere. Per chiedere serve essere amici e di amici non ne aveva. Studiava e basta e magari un giorno avrebbe capito anche la strana storia dei negozi sempre chiusi.
Il tempo lineare non è, se non vivi come gli altri. Ti stagna, ti annoia, si arrotola su se stesso, ma lo stesso un giorno una bella sorpresa arrivò anche per lui: il giardino non era più un piccolo frastaglio di terra rasato d’erba, ma una grande aiuola di rose bianche.
Ne colse la più bella un mattino di giugno, per porla a riposo in acqua fresca.
Il pomeriggio è arrivato presto, prestissimo. L’emozione sale e gli secca la lingua.
La camicia stirata è sul letto e lo guarda, gli predice il futuro, come la mamma. 
La indossa, si osserva in quello specchio pieno di macchie, di ruggine, che era della nonna e viene dalla campagna. Il sorriso che vede ora è di un uomo.
Lei ormai pervade ogni notte, le stelle e la luna, quando invano attende di cadere addormentato. Lei è la voglia dell’uomo che è diventato e che non chiede e non pretende perché tutti dicono “è lento”. Non importa che in storia abbia sempre preso dieci.
Si alliscia i pantaloni. Scalini di pietra, pietra vera, la luce nell’antico vano è traballante. Esce nel cortile, percorre piano l’androne fino a varcare la soglia del portone ed è in strada.
Pochi metri ancora.
S’appresta per non perdere il coraggio, letteralmente. Poi rallenta. La paura lo domina, il timido suo essere si vorrebbe inginocchiare. 
Ormai tutte lo guardano, aprono un varco tra i loro pettegolezzi e suggerimenti di rossetti e minigonne, pensando che debba passare oltre. Così si avvia a testa bassa, non regge i loro aggressivi occhi dipinti di colori sgargianti.
D’improvviso si volta e a lei, che è come la porcellana, offre il dono. Lo stelo è ancora croccante, la rosa ancora di un candore perfetto.
Lei fa un passo indietro. Non è felice, non è contenta, non accoglie e si ritrae.
Meglio abbassare gli occhi e la testa ancora di più, come dice la mamma, per chiedere scusa, che è sempre buona cosa. 
“È solo una rosa”, ammette, ritraendo un po’ il nunzio fiore e lei lo guarda tanto, per capirlo e per un tempo lunghissimo. Tutte le altre zitte, sospese, ad attendere il sipario.
Poi il sorriso della ragazza si aprì e con delicato gesto intrecciarono le dita, passando il fiore da un palmo all’altro.
“Grazie”. Una sola parola che vola e si posa sul cuore, per sempre. 
Di tanta bellezza che Dio le aveva donato non sapeva che farsene, ora che serviva cura e gentilezza e lei l’aveva dimenticata, su di sé e sul mondo, prestata com’era all’essere merce nel corpo di puttana.
“Domani ti porterò una torta” le promise lasciando il proprio incanto alle spalle, felice di averla sfiorata almeno una volta, immaginando già un risveglio senza cielo.
Infatti, lei non si vide più. Per mesi, ogni giorno era stata sotto i portici di via Rovello, Milano, con pioggia e vento, inverno e primavera.
Non si vide più.
Qualcuno spiegò a Big Johnny che raccontare la sua storia non avrebbe cancellato quel dolore, ma lo avrebbe reso sopportabile, come i reumatismi. Così io l’ho scritta e l’ho letta la notte del suo ultimo sonno.

Credits: Guido Moroni per "Castello Sforzesco"

martedì 13 ottobre 2020

"L'attesa e la tempesta" - Poesia di Eva Melodia


 "L'attesa e la tempesta"

E' notte e stride il filo spinato

le punte conficcate nella carne

stringe e dilania il peccato

il cuore è sordo e distante: è l'attesa.

Che giunga un nuovo tempo

di risa leggere, calore e di rose di maggio

prego che il fiume si accorga di me

sabbie mobili di tiepido coraggio.

Poi mi ridesto, mi risveglio.

Non aspetto più, che domani forse non ci sarò.

Lotto, resisto e combatto

non è più attesa, è riscatto.

E mi disseto delle mie tempeste.


Credits: Grazie a Alessandra Nemour di Lospazioideale per la sua illustrazione sentita e dedicata ❤

domenica 15 marzo 2020

"Era solo l’inizio" di Eva Melodia





"Era solo l’inizio"


Sto sudando freddo, mi gira la testa e non deglutisco, è tutto bloccato. Respiro, respiro, respiro. Guardo la finestra, la finestra c’è, si può scappare di lì. “Dove vado?”, domanda idiota, in questa situazione.

Mi appoggio alla porta e seguo il muro, barcollo. In tre cerchiamo la via del bagno, io vinco. Entro, lavandino, vomito. Cerco di sollevare la testa, vomito di nuovo. Respiro, respiro, respiro. Forse ho un infarto. 

Le mani me le sento piene di bollicine che frizzano sotto pelle, è l’iperventilazione. Lo so nel momento in cui riesco a pensare, ma poi il pensiero fugge e torna il panico.

Mi devo calmare.

Mi siedo sul cesso.

Respiro.

Ripenso.

A Marzo uscivo la mattina per comprare il pane e i beni di prima necessità. Le strade quasi deserte, scoprivo in quei giorni quanto fosse grigia la mia città, anche se era sul mare, anche se le vernici colorate delle villette attenuavano lo squallore.

Facevo un giro ormai organizzato. Prima un po’ di spesa, poi dal giornalaio, poi dal tabaccaio.

Poco prima della crisi stavo per smettere di fumare, ma poi ho capito che non era il momento giusto. Così, come tanti, viaggiavo con le stecche sotto il braccio perché se avessero sospeso la distribuzione del tabacco lasciandomi a secco, ero certo, sarei impazzito.

Chi fumava pesante, chi leggero, il poco di socialità si sviluppava solo quando eri costretto a fare una fila per gli acquisti, ma con riluttanza. Quasi tutti fingevano di guardarsi le scarpe, soffocando nelle mascherine.

Quindi ci si salutava da dietro il proprio tappo, una sciarpa o qualcosa di più ospedaliero. Certe persone le riconoscevi solo dallo strano colore di capelli, che in quel periodo andava tanto di moda. Presto li avrebbero avuti scarmigliati e grigi come tutti gli altri, visto che dal 10 marzo era stata imposta la chiusura anche ai parrucchieri.

Il grigiore comunque era soprattutto nel cuore. Le emozioni sedate, i progetti rimandati. Mi sentivo in colpa anche solo se mi trascinavo in spiaggia per farmi consolare dal mare in tempesta. Appena appariva una immagine antropomorfa all’orizzonte, temevo di dover dare giustificazioni per la mia fuga da casa, per essermi attardato fuori senza le ragioni di urgenza e necessità previste per decreto.

Si poteva fare attività motoria, lo ricordo bene quanto mi venne da ridere in proposito. Potevi “sgambare”, come i cani. In aree adeguate, aperte, mantenendo le distanze. Lo stesso ti sentivi un furfante e se incrociavi qualcuno, sapevi che ti stava facendo una lastra sulle reali intenzioni. “Non è che quello se ne fotte del rischio contagio con la scusa di fare jogging?”, ecco quello che pensavano tutti, girando ormai quasi in pigiama, che tanto era uguale.

A quel tempo facevo il giornalista, da qualche anno, freelance. Avevo un nome e un mestiere, non potevo lamentarmi. Il giornalismo in Italia era cosa rara e i giornali carta da culo da tempo, eppure riuscivo ancora ad essere professionale e soddisfatto del mio lavoro, mantenendo una famiglia. E per un giornalista era davvero già tantissimo.

Il giornalismo per me era la curiosità che alimentava i risvegli. Più dell’odore del caffè, più della colazione, più di un appuntamento galante, da sempre esplodevo di energia ed entusiasmo soprattutto quando nella mia mente contorta, spesso asociale e disgregata, sorgeva come il sole una domanda pungente: "Perché?"

Così era successo che avevo messo in piedi anche un blog, con un amico. Lui informatico, ma anche mosca curiosa capace di incaponirsi e scrivere pezzi leggeri e accattivanti. Io più votato a fare del giornalismo indipendente da regalare al popolino, il dovere morale della mia vita.

Il blog, “Nascere e scrivere”, era anche piuttosto seguito. Qualche articolo mi era valso dei riconoscimenti, altri qualche minaccia, ma attorno ad esso si era creata una piccola rete di cittadini attenti e talvolta agguerriti che mi dava spunti e seguiva i miei, cercando di costruire una società meno miserabile e corrotta per tutti.

Quando ci cadde addosso il decreto “Fermitutti”, (lo ho rinominato io così), dopo qualche giorno di scompiglio e nebuloso senso di sonno indotto, la rete di cui sopra aveva iniziato a chiedere a me, proprio a me, di fornire un quadro che desse senso al delirio in cui eravamo stati calati in pochi giorni.

Chiedevano a me, come se avessi risposte. Non le avevo. Avevo una marea di dubbi, chiamiamoli sospetti. Un sospetto, quando si tratta di faccende globali come l’annuncio di una pandemia, è consistente come la mollica del pane nell’acqua da due giorni.

Io ero stremato dai sospetti. Quando venne dichiarata la pandemia, ne ero consumato. Ogni indizio si incatenava ad un altro, per poi agganciarsi impropriamente ad un altro, mandandomi completamente fuori di testa. 

Spesso facevo l’alba tra i miei deliri, cercando indizi e trovando il nulla. Silvia veniva a darmi la buonanotte quando ero ancora davanti al pc e la sola fonte di luce di tutta la via, era il mio monitor. Poi andava a cullare le gemelle, per rassicurarle, per mietere le loro paure al posto mio, che non avevo più attenzione per nulla che non fosse il maledetto virus.

Silvia. Come mi manca, ora.

Una mattina di sole, andai a trovare mia madre che non era più del tutto autosufficiente. Distratto e stralunato dai pensieri che avevano colmato ogni mia ragione d’essere, visto il carico di domande che si portavano dietro e per le quali le istituzioni mi rispondevano solo puttanate, non mi accorsi che il giardino era particolarmente trasandato. Non aveva rasato l’erba, il tavolo da pranzo era sporco di smog e pioggia vecchia, una sedia ribaltata. Non era da lei, che ormai viveva solo d’amore per la casa, per me e mio fratello, e per i suoi nipoti. Davvero, non ero in grado di prestarvi attenzione ed entrai dalla porta della cucina planando completamente dalle mie nuvole.

“Mamma?”

Apparve, scarmigliata e in vestaglia. Erano le dieci del mattino. L’orologio sulla parete era fermo. Le pile le cambiava mio padre e da che era morto non c’era più stato verso di convincerla a farle cambiare da me o da mio fratello.

“Ti ho portato un po’ di spesa. Oggi la fila al supermercato arrivava fino al parcheggio di Piazza Matteotti”. Ero lagnoso, me ne rendevo conto, ma non ci badavo. Ormai ero al limite della misantropia.

Si avvicinò improvvisamente e cogliendomi del tutto di sorpresa, mi diede uno schiaffo che non ricordavo da quando ero un ragazzino indisponente e anche mezzo delinquente.

Quel giorno mi accorsi che il mio ostinato porre domande poteva costare caro e forse, ero stato solo fortunato a non averlo capito prima. Non vivevo in una zona particolarmente mafiosa, o almeno, la mafia da noi assumeva forme talmente borghesi da avere reazioni del tutto miti, verso chi eventualmente andava a pungolare il loro quieto vivere. Il mio giornalismo quindi non mi aveva mai esposto socialmente tanto da sentire il dolore di una perdita, di una tragedia imminente. Lo schiaffo di mia madre invece, era stato bruciante nell’anima. Io mi aggrappavo a lei da che ero nato.

“Ma come puoi dire certe cose?” mi chiese, due lacrime sotto gli occhi stravolti che notavo solo ora.

Ci misi qualche istante a comprendere come la mia attività di blogger, fatta di insistenza e di un generoso rompere le palle quotidiano, ponendo domande scomode e per le quali suggerivo risposte altrettanto scomode, aveva scavato un solco nella comunità a cui appartenevo.

Il titolo del blog era cambiato da “Nascere e scrivere” a “Nascere e resistere”. Mi era forse presa la mano, ma tutto sommato avevo le mie ragioni. Fatto sta, che mettere in dubbio il valore della quarantena forzata, l’onestà dei governi nel raccontare come stessero davvero le cose, le soluzioni politiche intraprese per arginare il virus pandemico, le affermazioni dei politicanti, era diventato il mio pane quotidiano ed anche un nutriente ricco per un discreto numero di oratori. D’altro canto, il quieto vivere in apnea di chi aspettava che la gabbia si aprisse e che il virus scomparisse dalla faccia della terra, veniva messo in crisi dall’approccio critico che promuovevo. Il mio intento di stanare il ladro di galline veniva scambiato per sprezzo per la vita umana e anche l’ironia, il sarcasmo o l’uso del paradosso, diventavano le prove di un mio forsennato odio, secondo loro, per la vita dei poveracci, soprattutto anziani, che stavano morendo negli ospedali.

Mi madre aveva saputo di quanto scrivevo da sua cugina, che era stata informata da una zia, che lo seppe da una nipote. Non per essere maschilista, ma capii allora che le donne hanno un telefono senza fili più potente dei satelliti di Google.

Delusione, rabbia, disgrazia, si erano abbattute su di lei, lasciandola inerme a guardarmi dal basso verso l’alto, seduta su quella poltrona di pelle consunta che non voleva dare via. Non aveva parole per giustificare il mio comportamento con amici e soprattutto con i parenti e la vergogna era davvero un peso insopportabile.

Era solo l’inizio.

Poi si attese Pasqua e che questa passasse con tutti i sacramenti e i festeggiamenti si consumarono per lo più con videochiamate di Skype. 

Dopo di questa, eravamo sicuri, il governo ci avrebbe rilasciato perché era assurdo pensare di tenere una intera nazione in ostaggio per settimane. Il costo di una tale operazione era per forza superiore all’acquisto di qualsiasi attrezzatura medica da lì, all’eternità.

E invece no. 

L’idea di ascoltare il Premier a reti unificate mi dava il vomito, ma mi sedetti accanto a mia moglie e la tenni per mano, spedendo le bambine a giocare con le Barbie. “Carissimi concittadini,...” e già avevo capito, dal piglio che gli lessi sul viso, che i miei progetti di saltare in macchina e lanciarmi spedito con la tavola da surf verso il primo spot utile, erano da considerarsi abrogati. 

Pochi giri di parole, per fortuna, per dire alla cittadinanza tutta che non essendo ancora scampato del tutto il pericolo, il calo dei casi non era sufficiente, non si poteva tornare alla nostra vita. Troppo alto il rischio di vanificare gli sforzi fatti fino ad ora.

Attoniti, non ci venne neppure di commentare. 

In una situazione simile ingoi l’aria, e vai avanti. Lo fai per le tue bambine cui devi trasmettere che va tutto bene. Lo abbiamo fatto anche quando abbiamo saputo che altre nazioni europee iniziavano a loro volta a trasformarsi in luoghi di clausura, dove l’unico fine sembrava la conta dei morti per farne un bollettino ogni otto ore e la rinuncia ai più elementari diritti civili avveniva in maniera spontanea.

La mattina che partii, baciai Silvia sulle labbra. Dio che labbra dolci che aveva e quanto le amavo. Profumava di primavera e risate anche quando, sensibile com’era, si addombrava in un angolo per lamentarsi delle ingiustizie del mondo ed io amavo tutto di lei. 

Mi mosse il desiderio di proteggerla, di salvarla, di donarle verità. Mi mosse il bisogno di essere un buon padre per le mie bambine, che meritavano solo gaiezza e libertà.

A quel punto, i miei sospetti erano diventati infinitamente più grossi della mia possibilità di indagare, da solo, partendo dal luogo in cui vivevo, quindi quando venni contattato da altri insospettabili resistenti, sperai di trovare le sponde giuste, la collaborazione necessaria per fare risplendere alla luce del giorno, verità che mettessero fine a quella cazzo di dittatura. Una dittatura, con tanto di ritorsioni se ti ribellavi, che ci soffocava da quasi due mesi e che mi puzzava di marcio da ogni prospettiva la guardassi. In ogni caso, la consideravo democratica e civile più o meno come la ghigliottina.

Così, clandestino, salii sulla mia auto pronto a mentire sulla destinazione e sulle ragioni del mio viaggio. Mi sentivo un partigiano.

Arrivato nella capitale, venni risucchiato da un nucleo operativo nella periferia di Roma, dove con le mie stesse tempistiche, altri pazzi di varia età, avevano sviluppato un’avversione per le soluzioni sanitarie di tipo militaristico e gravemente restrittivo che il governo stava adottando. 

“Benvenuto a Riva-Est” mi aveva detto un ragazzo, giovane, poteva essere mio figlio se avessi proliferato presto. Un appartamento spoglio, con tanti posti letto, caos, una cucina che profumava di cena messicana appena consumata. Sarebbe stato, anche per me, casa e non avevo idea per quanto tempo.

A Riva-Est ho scoperto un esperimento di comune, inteso come luogo di condivisione dove diversi individui cercano di esistere senza pestarsi i piedi. Si tratta di un modello in cui non ho mai creduto, se non immaginando punkabbestia anni ‘90 che dopo poco si scannano per il primo turno in bagno. 

Invece, può esistere e funzionare davvero: basta avere una fissa che ti ossessioni. Basta essere completamente rapiti da qualcosa che ti svia dal fastidio per gli abiti di altri lasciati in giro, che ti rende il russare di tizio quasi accogliente come la cantilena di un grillo, che attenua la tua percezione degli altri trasformandoli in fantasmi capaci solo di attraversarti. Era la nostra comune e ci stavo bene perché la mia ossessione era tronfia, piena. L’ossessione, la paranoia per le vere ragioni di quello stato d’assedio in cui vivevamo: ti dicevano che stare tappato in casa, fermare le attività lavorative, la socialità, il movimento stesso dei corpi, era un atto d’amore verso i tuoi simili. Un “atto d’amore” lo chiamavano e io mi sentivo divorare dalla smania e dalla rabbia.

La sera pianifichiamo il lavoro, ovvero sbattevamo la testa contro il muro senza sapere dove e come agire. La maggior parte delle volte cominciavamo con atteggiamento risoluto e idee chiare, per finire dopo poco a lamentarci della quarantena, della crisi economica in corso, e poi deprimerci allegramente sul futuro che nessuno riusciva davvero ad immaginare.

Certo, a quel tempo non facevamo nulla di male o di gravemente illegale. Consideravo la mia come una vacanza per intessere un lavoro più fitto di indagini a tappeto e mi divertivo anche, nonostante fossi tra i meno giovani.

Io ero chiamato il moderato. Figuriamoci gli altri. Il mio cruccio si articolava attorno ad una gigantesca frode ai danni del popolo italiano, qualcosa di già visto prima, eppure mai dimostrato. Una violazione di tale immoralità da non poter essere quantificata e che di solito si configura come cospirazione. Gli altri portavano avanti le loro tesi, una più inquietante dell’altra, con picchi di ansia tra l’ipotesi di invasione aliena e la teoria della morte assistita collettiva.

Mi divertivo, sì e fin troppo, forse. Quando erano passate tre settimane dalla mia partenza e tre mesi e mezzo dall’inizio della pandemia dichiarata, tradii Silvia.

Ogni giorno chiamavo Silvia e mi dicevo di dover confessare e ammettere di essere un quarantenne ancora in balia del suo pene. Ammettere di non aver resistito al fremito  per le avances di una ragazza giovane ed estremamente aggressiva nel prendersi ciò che vuole. Probabilmente, e come mi capita spesso, ho fatto troppo lo spaccone e lei, Linda, mi ha preso sul serio. Un po’ convinta dal mio modo di atteggiarmi al più figo e un po’ per punirmi, una sera non mi ha dato tregua e mi ha messo sotto. Letteralmente.

Dire questo a Silvia però non era pensabile, non sarebbe stato giusto. Le avrei spezzato il cuore facendola sentire più stupida di me, solo per avermi scelto come marito e padre dei suoi figli. Uno stupido incapace di controllarsi: meglio tacere e tirare dritto.

Ero ancora frastornato dalla magagna con Linda quando, arrivati i primi di maggio, il decreto venne rinnovato. La reazione delle persone fu di chiedere misure sempre più restrittive. L’illusione che fossero queste a terminare l’emergenza li rendeva più autoritari ed oppressivi, squadristi in cerca di untori dalla mattina alla sera.

I contagi erano ancora numerosi, dicevano, ed era tutta colpa di quei quattro gatti che riuscivano ogni tanto ad andare a prendere il pane intrattenendosi con un vicino, o a correre in un campo.

A Roma, grazie al simpatico surriscaldamento globale c’erano già giorni che non si respirava più. Stavo pensando di tornare a casa, fallito e infedele. L’infedeltà, forse, mi aveva fatto sentire ancora più incapace, mentre realizzavo che tutto il materiale raccolto per denunciare le nefandezze del sistema, restava nell’ambito dell’inutile prova indiziaria.

La buona notizia di quei giorni però, era che, tra i sempre troppo pochi insubordinati che spuntavano da ogni dove e che si univano alle file di gruppi come il nostro, erano stati arruolati degli hacker di chiara fama e curriculum da spavento. E allora sì, che ne avremmo viste delle belle.

“Ragazzi, oggi il Presidente farà una dichiarazione!”

Finalmente. Si sudava troppo e le speranze di sopravvivere mentalmente a quella prigionia diventavano sempre più rade. I casi di contagio si contavano solo con le decine, messaggi come “Stiamo vincendo la guerra!” circolavano da addetti sanitari, insomma si sentiva nell’aria il profumo di quella dannata primavera che ci avevano fatto sudare.

“Carissimi concittadini…”, il premier si schiarì la gola e di nuovo, non aveva un bel sorriso rasserenato sul viso. “La nostra battaglia contro la diffusione del virus H15N7 è da considerarsi... vinta.”

Una esplosione di applausi, il fragore dalle finestre di ogni strada, come quando segna l’Italia.

Mantiene serietà e compostezza, riprende fiato, il ciuffo non gli si scompone. “Ma non è vinta la guerra. Questa esperienza ci ha insegnato una grande lezione. La nostra società non era preparata. La nostra società ha rischiato di scomparire perché non era pronta”

A Riva-est non si stava nella pelle, qualcuno aveva già messo il giubbotto pronto ad uscire di casa, ben sapendo che non era ancora il momento di riversarsi nelle strade. Commentavamo, gioivamo, qualcuno imprecava, e apparve del prosecco. Stavo versando in bicchieri di carta, senza già più prestare orecchio al discorso. 

“La nostra società non era abituata ad affrontare un virus, che circola e si replica velocemente e che si diffonde proprio attraverso il nostro stile di vita sociale.”

Il primo a gelare fu Michele. Lo vidi sedersi più vicino al monitor, questo attirò la mia attenzione.

“Abbiamo imparato che per ora siamo impotenti, non essendoci vaccini, contro tanti, troppi agenti patogeni che per mille ragioni si stanno diffondendo e diffonderanno nei prossimi anni. E’ per questo, che l’Unione Europea sta lavorando per garantire la massima sicurezza delle nostre popolazioni. Dovremo fare ancora molti sforzi, sacrifici, ed essere uniti, perché la minaccia è sempre più presente e più grande. Dovremo rinunciare a qualcosa e cambiare il modello di vita a cui eravamo abituati, cambiando quelle abitudini sociali che hanno favorito la diffusione del virus e che ci hanno esposti tutti a grandissimi rischi ed anche a molta sofferenza.”

Sembrò inverno, con le finestre aperte.

“Per tale ragione ho firmato un decreto, atto a mantenere le misure di contenimento attive ancora per il tempo necessario a far sì che il nostro paese si adegui, adotti a livello strutturale i cambiamenti che ci ha imposto questa brutale lezione e trasformi in norma vigente e ordinaria le norme straordinarie fin qui adottate e che ci hanno permesso di uscire dalla crisi.”

Gli altri sono di là, dal silenzio sembra che siano tutti morti. In realtà sono sotto shock, come me.

Mi guardo allo specchio, un mobiletto di plastica degli anni ottanta. Mi vedo invecchiato, con rughe e capelli sempre più bianchi.

Devo decidere quale sarà il mio prossimo pensiero. 

Questa è la mia storia e questo è soltanto l’inizio.


 

Il linguaggio ammalato, capitolo 1: vaccinazione e immunizzazione

Il Covid non ci ha solo fatto ammalare, avvelenandoci la vita, e distruggendo tante aspettative.  Deve avere anche avuto il potere quasi mag...