Osservare e criticare dovrebbe essere attività costruttiva, così mi attengo al rigor di logica ed all’intento di suggerire dei ragionevoli dubbi utili ad un qualche tipo di miglioramento in termini di metodo e prassi.
Ora che posso contare qualche anno di esperienza all’interno di ciò che viene genericamente chiamato antispecismo posso anche finalmente trarre conclusioni con spero, la capacità di sostenerle, argomentando correttamente, in maniera breve - nonostante al contrario sappia che ci sarebbe moltissimo da dire e fare emergere -, al fine di garantire un testo non troppo noioso per chi vorrà leggere, né troppo complicato per chi mi accusa sempre di intricare la questione più di quanto non sia veramente.
Tutto inizia con l’amara constatazione di come la parola antispecismo giri quasi esclusivamente in ambito animalista, in maniera impropria, fuorviata, diciamo pure devastante e con il fastidioso rilevare che la maggior parte di coloro che si sono appropriati di questo importante sostantivo, non sappiano di cosa parlano, non siano affatto antispecisti, siano solo superficialmente attratti e per brevi periodi dall’altisonanza della parola stessa, riuscendo più come strumenti antagonisti - forse loro malgrado -, dell’antispecismo stesso che come qualsiasi voglia e tipo di collaboratori.
L’arroganza che può emergere dal mio approccio, spero sia abbastanza fastidiosa da attirare l’attenzione di un pubblico di solito molto poco attento alla riflessione, al perdere tempo in cose come leggere, ascoltare, pensare, criticare, attività spesso liquidate come troppo complicate.
Nonostante non apprezzi particolarmente la definizione scritta su wikipedia di ciò che è l’antispecismo, uso la frase iniziale come ponte attraverso cui giungere al punto e questo perché immagino e spero che un individuo intelligente che attribuisca a se stesso un qualche aggettivo o attributo lo faccia con un minimo di cognizione di causa. Suppongo quindi che come step basilare, per ciascuna persona che da un certo giorno ha cominciato a definirsi antispecista, ci sia stato almeno l’interesse di leggere tale definizione.
In wikipedia leggiamo che ciò di cui stiamo parlando è un “movimento filosofico, politico e culturale” e sebbene si tratti di una premessa generica, è sicuramente una premessa valida.
Quattro parole messe in fila con un peso troppo importante, talvolta storicamente insostenibile che proprio non possono essere ingoiate intere e digerite senza alcuna dedizione al chiedersi cosa ciò significhi realmente.
Per stabilire allora quanto e come ci competa davvero e fino a che punto l’antispecismo basterebbe chiedersi che ruolo hanno nella nostra vita queste quattro parole ed onestamente decidere se abbracciarlo oppure se al contrario ripudiarlo, così da prenderne chiaramente le distanze ed evitare inutili fraintendimenti, confusione, perdite di tempo.
Come detto, sappiamo che per una qualche corrispondenza legata ad alcuni soggetti coinvolti nelle tematiche antispeciste, e cioè gli animali non umani, l’antispecismo si è primariamente sentito nominare in quello spazio vitale riconducibile all’animalismo. E’ però veramente facile affermare come un vastissimo numero di persone che a buona ragione si definisce animalista, non sia affatto antispecista e non abbia probabilmente molta affinità con esso se non a seguito di un profondo cambiamento, non meno complesso e radicale di quanto non lo sarebbe per chi non ha neppure basi animaliste.
La superficialità con cui è stato approcciato il problema ha creato un deleterio rebus che per ovvie ragioni, in pochi vogliono risolvere. Vediamo ora perché di tutti questi sedicenti animalisti, spesso citanti l’antispecismo, solo pochi possono dirsi consapevolmente e realmente tali, e come questa appropriazione indebita degeneri e danneggi l’idea che è alla base di quello che dovrebbe essere un movimento compatto, solido e capace di grandi cose.
In larga parte, l’animalismo, inteso in tutte le sue forme, purché sufficientemente coinvolgenti da avere un valore nella vita di una persona – non stiamo quindi parlando dell’impropria attribuizione di “animalismo” a chi semplicemente ama una tal razza di cani e gatti o ama il suo gatto e amenità simili – non ha, - nelle istituzioni che lo rappresentano quali associazioni e quant’altro -, alcuna rilevanza e interesse che sia di tipo politico, ma solo semmai di tipo interattivo rispetto alla legislazione. Coerentemente le persone che vi prendono parte attivamente spesso, troppo spesso, sono allineate a questa forma di espressione dell’animalismo, e cioè priva di interesse ed intenzione politica. Già questo significa che l’antispecismo non può essere per costoro una estensione di pensiero e metodo: l’antispecismo, che è per sua natura politico, non può essere realmente digerito e fatto proprio da chi non esprime attenzione politica. Fare girare appelli ed eventi su facebook, non può bastare per parlare di attività politica, ma di fatto questo è il massimo dell'impegno profuso per la stragrande maggioranza di coloro cui penso mentre scrivo.
La questione filosofica, posta quale prima caratteristica dell’antispecismo non è certo da poco. Se osserviamo il fenomeno animalista, macroscopicamente come microscopicamente, otteniamo l’immagine di un brulichio dettato da passione più che da idee, da emotività più che da analisi, da reazione a stimoli violenti, piuttosto che da predisposizione al lottare nel nome di qualche elaborazione teorica. Ciò comporta molto disinteresse verso l’aspetto filosofico dell’antispecismo, perché appunto, se assunto superficialmente come una qualche scatola simile a quella dell’animalismo, non è altro che un contenitore di empatia e/o soggettività cui non si dedica alcuna riflessione particolare.
Ecco che così pure tutti coloro che si mettono in bocca questa parola senza farsi carico anche dell’aspetto filosofico (purtroppo o per fortuna abbastanza complesso), violano il vincolo logico grazie al quale possono richiamarsi in qualche modo all’antispecismo.
Se consideriamo poi che la filosofia alla base di un movimento politico è ciò che di norma ne stabilisce i connotati, vediamo come anche i pochi animalisti dediti a qualche forma di politica, spesso rispondano in maniera superba rispetto all’importanza dell’aspetto filosofico (invece non a caso posizionato al primo posto nella breve definizione) limitandosi a portare avanti espressioni politiche figlie di altre filosofie, anche qui, confondendole. Così una bella ulteriore fetta di sedicenti antispecisti non dovrebbero considerarsi tali, nonostante l’impegno politico, poiché rispondenti di fatto ad altre idee, ad altri canoni, che per quanto simili o coerenti, non sono quel complesso insieme di pensieri legati tra loro perfettamente che si può chiamare antispecismo.
Abbiamo poi da rilevare la presenza della parola “movimento” il cui significato è ampio e variegato ma che trovo utile interpretare in accordo con la presenza dell’aspetto politico. Un movimento politico infatti già ha connotazioni abbastanza precise. Di solito condivide delle idee in maniera piuttosto chiara, e si struttura con cognizione di causa su l’unica cosa di cui è fatto, le persone, dando loro importanza fondamentale, formandole, sostenendole, creando una solida rete, che si muove in una stessa direzione.
Al contrario, ciò che osserviamo definirsi antispecismo allo stato attuale dentro il pandemonio animalista è un caotico sottobosco di singoli individui e piccoli gruppi che si incontrano casualmente e raramente, sempre nei pressi di tematiche animaliste, che procedono ognuno per la sua strada, che si dan da fare ciascuno dando più importanza ad un aspetto piuttosto che ad un altro, il tutto senza mai preoccuparsi davvero del mattoncino che costruisce un movimento e il collante che lo mantiene: il singolo individuo e l’unità tra questo e gli altri partecipanti al movimento.
Le persone infatti sono sistematicamente chiamate a fare la loro parte in quanto adulti consenzienti, senza che esista alcuna metodica dichiarata, approfondita o ricercata, su come aumentare, mantenere, fare crescere tali adulti, il loro consenso, ma sopratutto l’unità tra costoro (al contrario si lascia grande spazio ad individualità egocentriche che minano tale l’unità), in maniera coerente, davvero coerente con l’antispecismo.
Il che porta direttamente all’ultimo attributo chiamato in causa dalla “stupida” definizione scritta su wiki. Stupida, perché davvero, non ha richiesto chissà quale intelligenza per essere elaborata, proprio perché così perfettamente evidente, in ogni suo aspetto, giusto compreso l’ultimo, quello culturale.
Tale cardine su cui esprimiamo efficacemente l’antispecismo è relativo al metodo, cioè quello culturale, attraverso cui è possibile diffondere l’antispecismo. Il fattore culturale, considerato vicino a quello filosofico, è per lo più deprecato dal mondo animalista e di conseguenza dalla maggior parte di quegli animalisti che si estendono inadatti all’antispecismo. L’unica attività strutturalmente culturale che viene portata avanti, sempre in maniera coatica, ma talmente costante da apparire organizzata e pensata in ampia scala è indirizzata a promuovere il veganesimo.
In realtà, gli eventi culturali pensati per essere tali orientati all’antispecismo, sono pochissimi perchè pochissimi i soggetti per ora interessati a (o davvero preparati per) pensarli prima e realizzarli poi, vista la scarsissima rilevanza data ad una concretezza che segua un semplice percorso: un’idea (filosofia), un insieme preziosissimo di individui che la adottino (movimento), una intenzione di agire (politica), ed un mezzo potente (cultura).
Per queste ragioni, espresse mi scuso in maniera sicuramente come già detto arrogante e misera, mi schiero dalla parte di coloro – i pochi – che sostengono come l’antispecismo abbia una sua dignità assoluta e che per dimostrarla, per farla emergere, per rivendicarla e diffonderla, serva uscire da quell’ambiente puerilmente animalista nel quale è impropriamente attecchito fino ad ora per rivolgersi ad altri soggetti potenzialmente coerenti e per emanciparsi dall’afflizione della confusione più totale.
Serve prendere le distanze da tutto ciò che infanga l’antispecismo, che lo nasconde, che lo travisa.
Serve decidere chi sale in barca e chi no, per un progetto più grande, quello di un movimento.
Serve capire chi è disposto ad accettare che l’antispecismo è l’antispecismo, e niente altro.
Sottoscrivo parola per parola...ma che lo dico a fare?Sopratutto l'ultima sequenza di ciò che serve fare, espressa nelle 3 intenzioni.
RispondiEliminaTanto più che osservo sempre con maggior frequenza una quasi inconscia/involontaria mistificazione del termine antispecismo e di ciò che questo significa con un mix di qualcosa che la gente conosce maggiormente, con l'assurda convinzione che "parlare di cose note forse avvicina le persone, perchè...come dire...già il termine è difficile...". Certo è che se nessuno mai prova a spiegarlo...